domenica 28 dicembre 2008

The Spirit


The Spirit (personaggio dei fumetti creato da Will Eisner) è un detective mascherato che cerca di mantenere l'ordine e la giustizia. Dietro la sua maschera si cela Denny Colt, un poliziotto creduto morto dopo un'azione finita male. Ad accompagnarlo nella sua lotta, c'è il commissario di polizia di Central City Dolan, e sua figlia Ellen (Sarah Paulson), la sua ragazza. Appena arrivata nelle sale la nuova opera di Frank Miller non raccoglie troppi consensi. Eppure l'ex poliziotto (Gabriel Macht) che ritorna misteriosamente dalla morte nelle sembianze di immortale per combattere il crimine funziona. Il suo nemico Octopus (Samuel L. Jackson) gigioneggia un pò troppo (forzata la scena con l'uniforme nazista...) ma si incastra nel ritmo comico-surreale della pellicola. The Spirit ingaggia con lui una lotta dura ma anche fumettistica, cercando di riprodurre la vena ironica dell'originale di Eisner. Come da copione è lunga la lista di donne che seguono o affrontano l'eroe: da Silken Floss (una tiepida Scarlett Johansson), a Plaster of Paris (Paz Vega caduta chissà da quale albo!), la stessa morte Lorelei (in attesa di riprendersi la sua anima) e la bellissima Sand Sarif (Eva Mendes, perfetta per questo ruolo), la ladra di gioielli in cerca del più mitico tra i tesori. Citazionista fin dalla primissima apparizione (l'ovvio Batman) The Spirit raccoglie l'esperienza di Sin City non discostandosene molto ma ha il vantaggio di essere meno frammentario. La storia è solida e nonostante le concessioni al pubblico bisogna tenere conto che il film è un ibrido tra Miller (il lato oscuro, il noir di Central city) ed Eisner (l'ironia ed il grottesco delle battute) uniti nell'amore per la città dell'eroe mascherato (e per le loro poetiche città: Sin City/New york!) rivelato nelle ultime sequenze. Tremino le donne per la (ri)nascita di un maschilismo sorridente. Questa pellicola trasforma il precedente di Miller in stile. Un modo di fare cinema pensato come fumetto. La conferma di un cambiamento.

venerdì 19 dicembre 2008

Doc Savage l'uomo di bronzo


Anticipando Superman ed uscendo dai Pulp magazines degli anni 30, Doc Savage si è guadagnato il suo posto nell'olimpo dei comics. Eppure nel corso del tempo la sua fama è andata lentamente appassendo nonostante gli omaggi (dalle citazioni che compaiono qua e là nelle testate Marvel e Dc fino alla genesi di personaggi come Martin Mystere!). Nel 1975 Michael Anderson gira il suo film sull'uomo di bronzo ma i risultati sono deludenti. Clark Savage Jr. soprannominato Doc, subisce un attentato da parte di uno misterioso indio, che si suicida subito dopo aver fallito il colpo. Clark, accompagnato dai suoi cinque inseparabili compagni di avventure, "Long Tom", "Renny", "Monk", "Johnny" e "Ham", parte alla ricerca del padre disperso per la Repubblica di Hidalgo, dove il gruppo dovrà vedersela col malvagio Capitano Seas e la sua ciurma di pirati, che farà di tutto per ostacolare la loro ricerca nel tentativo di impedire la scoperta di un immenso tesoro. Non riesce la presenza di Ron Ely a sollevare questo Doc Savage piatto (e qulacuno scrisse: ariano!) che non è capace di invaghirci come riusciva il Doc cartaceo con il suo particolare connubio di indagine, scienza ed avventura. Strano che ancora non sia stato preso in considerazione per una moderna versione cinematografica, conferma che il declino del personaggio di Kenneth Robeson non accenna a fermarsi.

martedì 9 dicembre 2008

Sin City


Nella città più cupa del mondo dei fumetti, una città simile ai peggiori anfratti di Gotham, si aggirano personaggi degni dei mostri creati da Chester Gould. Immaginate l'hard boiled delle novelle alla Spillane (Mike Hammer è il padre letterario di Marv), il contrasto tra il bianco e il nero dell'espressionismo tedesco, che convogliò, neppure troppo lentamente, nel noir americano, immaginate le ossessioni, la voce fuori campo che continua a martellarci fino a rendere la nostra testa un tutt'uno con quella dell'antieroe. Ecco, questa è la ricetta di Sin City fumetto. Ma si potrebbero aggiungere l'uso magistrale delle vignette, l'abilita di creare delle splash-page da antologia e la particolare attenzione che Frank Miller riserva ai dettagli delle sue storie. Fino a qui tutti d'accordo. Sin City film ha, invece, subito diviso il suo pubblico, ma in maniera molto diversa dai comics precedenti. Per lui si fanno discussioni sul cinema e non sull'attinenza. Non parlano soltanto i fan, parlano gli spettatori. Le motivazioni sono due, ben distinguibili: questa è la prima volta che un fumetto viene utilizzato con precisione maniacale come storyboard cinematografico. Le sequenze vengono ricalcate letteralmente dalla pellicola, dalla prima all'ultima. Per realizzare ciò si è utilizzato il greenscreen, attori trasformati in perfette controparti cartacee e Miller che controlla e dirige i lavori con Robert Rodriguez. L'altro fattore importante che fa nascere un acceso dibattito è quanto l'operazione sia rivoluzionaria e se potrà o meno aiutare, trasformare il cinema. Non ho certezze a riguardo. Quello che credo è che l'operazione non è da condiderarsi rivoluzionaria, è soltanto l'attuale approdo di un percorso iniziato con il digitale. Credo anche che gli unici che possono aiutare il cinema siano gli "autori", soltanto loro sapranno dosare e miscelare gli elementi (anche gli effetti digitali) per creare la magia. Però Sin City ha consolidato le teorie con l'azione, ha sdoganato definitivamente i comics dalla serie B, ha investito di significato il lavoro di molti autori e disegnatori, che finalmente vedranno le loro tavole ricreate, quasi materializzate, nelle trasposizioni. Ecco quindi il fulcro centrale, sono le parole che spiegano cosa sta accadendo: Le versioni cinematografiche diverranno perfette riproduzioni. Che io ricordi, al contrario le cose non hanno mai funzionato. I comics tratti dai film in sala, prodotti per amplificarne il successo e per far vendere qualche copia in più alla casa editrice, sembravano vuoti. Non è il caso di Sin City (e spero vivamente che non lo diventi per il futuro Watchmen!) che, anzi, è troppo pieno. Il vero, ed unico difetto della pellicola infatti è il ritmo. Formato da tre albi (Quel bastardo giallo, Un abbuffata di morte, Un duro addio) Sin city ci fa scoprire una cosa importante del noir: i personaggi si somigliavano tra loro! Il genere aveva le sue regole e creava dei modelli comportamentali, dei clichè. Le tre storie hanno lo stesso ritmo e dopo la seconda ci si stanca poichè una sceneggiatura non può permettersi di ripetersi senza sfiancare gli spettatori. I film formati da episodi hanno il vantaggio di variare gli elementi, i colori, le location. Sin city in questo ci affatica, c'è troppa carne al fuoco. La visione alla lunga ci lascia un senso di confusione addosso e il bianco e nero mescola, rendendo la città della perdizione un lungo sogno ad occhi aperti. Non è un miracolo dunque, ma di certo è un buon approdo.