Premesso che Zora la vampira prende dal fumetto di Renzo Barbieri soltanto il nome e che in Italia non siamo più avvezzi a realizzare le trasposizioni, possiamo dire che la Zora dei Manetti bros è un film riuscito male che però nasconde delle potenzialità. Rimasto colpito dalla visione consumistica della televisione italiana, un conte Dracula del terzo millennio decide di lasciare l'amata Transilvania per trasferirsi nel belpaese. Approdato su un cargo di clandestini, finisce per essere trattato come un normale extracomunitario, quindi spedito in un centro sociale romano. Dotatosi con difficoltà di un tetto sotto cui stare, Dracula incontra quasi subito l’incarnazione del suo eterno amore, la writer Zora. Sfortunatamente per il Principe dei Vampiri, i problemi non sono pochi: sulle sue tracce c'è il commissario Lombardi, mentre il suo fedele servitore ha diversi problemi con il permesso di soggiorno. Con citazioni tratte dai vari Dracula (e spicca su tutti quello della blaxploitation:Blacula!) fino ad arrivare agli horror più contemporanei come: Un lupo mannaro Americano a Londra, Zora la vampira cerca di riuscire nel difficile compito di giocare con i generi per creare un ibrido horror-comedy nostrano. I Manetti però non sono Landis e nonostante tante comparsate eccellenti Zora spesso scade nel trash involontario. Peccato, le idee in fondo c'erano, a cominciare dalla tossica-Renfield (interpretata però indecentemente) fino alla metafora del conte extracomunitario. Fuori luogo la presenza massiccia del rap di casa nostra, che invece di creare il background per lo svolgimento della storia inserisce un ulteriore genere nel calderone (il musicale!) creando confusione e spaccando il pubblico. Le parti con i live infatti, troppo prolisse, rallentano il ritmo mentre le battute e lo slang underground non sempre ricalcano con fedeltà la realtà che vorrebbero descrivere.
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